Ti capita di avere bruciore di stomaco, gonfiore subito dopo i pasti, digestione lenta o reflusso?
Molto probabilmente, penserai che sia colpa di un eccesso di acido gastrico. È una convinzione comune, tanto diffusa da indurre molte persone (e purtroppo anche molti professionisti) a ricorrere immediatamente a farmaci antiacido o inibitori di pompa protonica (IPP).
Ma cosa succede se, invece, il problema fosse proprio una carenza di acido nello stomaco?
È qui che entra in gioco il concetto di ipocloridria, una condizione ancora poco riconosciuta ma estremamente frequente, e che può compromettere la digestione, l’assorbimento dei nutrienti e persino la salute intestinale.
L’ipocloridria è la condizione in cui lo stomaco produce una quantità insufficiente di acido cloridrico (HCl). Questo acido è fondamentale per numerosi processi digestivi:
Attiva la pepsina, l’enzima essenziale per digerire le proteine
Permette l’assorbimento corretto di ferro, calcio, zinco e vitamina B1
Elimina batteri, funghi e patogeni introdotti con il cibo
Stimola la produzione di bile ed enzimi pancreatici
Regola il corretto svuotamento gastrico
Quando la produzione di acido è bassa, la digestione si blocca a monte. Le proteine restano parzialmente digerite, iniziano a fermentare, producendo gas e rallentando il transito intestinale. Questo provoca gonfiore precoce, sensazione di pesantezza, e paradossalmente… reflusso!
L’acido cloridrico è un alleato fondamentale della nostra digestione. Il suo ruolo è molteplice e strategico.
Prima di tutto, è responsabile dell’attivazione della pepsina, l’enzima che consente la scomposizione delle proteine. È anche indispensabile per l’assorbimento di nutrienti cruciali come ferro, calcio, zinco e vitamina B12, e svolge un ruolo protettivo, eliminando microrganismi patogeni ingeriti con il cibo.
Inoltre, stimola la produzione di bile e di enzimi pancreatici, fondamentali per la digestione dei grassi e dei carboidrati. Quando il livello di acidità scende troppo, questa catena di reazioni si spezza: le proteine non vengono digerite correttamente, restano troppo a lungo nello stomaco, fermentano e producono gas. Il contenuto gastrico fermentato, acido o meno, può poi risalire nell’esofago, causando reflusso.
Ma non solo: l’ambiente meno acido consente ai patogeni di sopravvivere e proliferare, aprendo la strada a disbiosi, SIBO e infezioni intestinali ricorrenti.
Il paradosso dell’ipocloridria è che i suoi sintomi imitano quasi perfettamente quelli dell’eccesso di acidità. Chi ne soffre lamenta spesso una sensazione di pesantezza dopo i pasti, come se il cibo rimanesse bloccato nello stomaco. Il gonfiore compare precocemente, talvolta accompagnato da eruttazioni frequenti o alito cattivo.
Alcuni riferiscono rigurgiti acidi, altri un reflusso “blando” ma costante.
Ciò che rende tutto più complesso è che questi segnali portano spesso all’utilizzo di farmaci antiacido, che riducono ulteriormente la secrezione acida e aggravano il problema alla radice. Un circolo vizioso che può durare anni.
Nel tempo, possono comparire anche sintomi secondari ma rivelatori: feci con residui alimentari, odori particolarmente forti, intolleranze alimentari multiple, infezioni intestinali ricorrenti (come candida o SIBO), carenze croniche di nutrienti come vitamina B12, ferro e zinco, fino ad arrivare a quadri di astenia, depressione e nebbia mentale.
A compromettere la produzione di HCl sono molteplici fattori, spesso combinati tra loro.
Tra i più influenti c’è sicuramente lo stress cronico, che agisce direttamente sul sistema nervoso autonomo, riducendo l’attività parasimpatica e inibendo la secrezione gastrica attraverso il cortisolo. Anche l’uso prolungato di IPP o antiacidi, purtroppo molto diffusi, riduce drasticamente l’acidità in modo farmacologico.
Una delle cause organiche più comuni è l’infezione da Helicobacter pylori, un batterio che colonizza la mucosa gastrica e tende a ridurre la secrezione acida mentre provoca infiammazione.
Con l’avanzare dell’età, la capacità dello stomaco di produrre acido diminuisce fisiologicamente. È stato dimostrato che oltre il 30% delle persone sopra i 60 anni presenta ipocloridria, spesso asintomatica.
Infine, non vanno sottovalutati altri fattori predisponenti come diete sbilanciate, povere di proteine e ricche di zuccheri raffinati, carente apporto di zinco, e patologie endocrine come l’ipotiroidismo.
Comprendere se si è in presenza di ipocloridria non è sempre immediato, soprattutto perché i sintomi tendono a sovrapporsi a quelli dell’iperacidità. Tuttavia, esistono sia strumenti diagnostici diretti, sia strategie cliniche di osservazione funzionale che possono offrire indizi utili.
Il metodo più preciso per valutare la secrezione di acido cloridrico è la misurazione del pH gastrico, effettuata tramite sondino o capsula ingeribile. Si tratta di un esame gastroenterologico che misura direttamente l’acidità nello stomaco. Valori costantemente superiori a pH 3,5 possono suggerire ipocloridria.
Un altro test è il test di carico al cloruro di betaina, somministrato sotto controllo medico: consiste nell’assunzione di una dose standard di betaina HCl e nell’osservazione della risposta soggettiva (bruciore o calore gastrico, oppure assenza di sintomi).
In ambito nutrizionale e naturopatico, si usano spesso strategie funzionali indirette per individuare l’ipocloridria. Un esempio classico è il test del bicarbonato di sodio: si beve un bicchiere d’acqua con un cucchiaino di bicarbonato a digiuno, e si osserva in quanto tempo avviene la prima eruttazione. Se passa più di 3-5 minuti, è possibile che l’acidità gastrica sia insufficiente (anche se non è un test scientificamente validato, può offrire un’indicazione empirica).
Inoltre, la risposta agli integratori di betaina HCl è spesso usata come test funzionale: se una persona migliora progressivamente con dosaggi crescenti (sotto controllo professionale), è probabile che il problema sia legato a un’insufficiente acidità gastrica.
Infine, una valutazione dei sintomi in combinazione con carenze nutrizionali (in particolare vitamina B12, zinco e ferro), digestione proteica compromessa, infezioni intestinali frequenti e risposta negativa agli antiacidi può orientare in modo fondato verso una diagnosi di ipocloridria.
Se si sospetta ipocloridria, la prima azione utile è alleggerire il carico digestivo e favorire le condizioni fisiologiche per stimolare la secrezione gastrica.
Mangiare in modo più semplice, più lento e con maggiore consapevolezza può fare la differenza. I pasti dovrebbero essere piccoli, ben masticati e composti da alimenti facilmente digeribili, come proteine leggere (pesce, uova, carni bianche) accompagnate da verdure cotte. È utile introdurre alimenti amari (come radicchio, rucola, cicoria, carciofo), che naturalmente stimolano i succhi gastrici.
Un accorgimento spesso efficace consiste nell’assumere un cucchiaino di aceto di mele non pastorizzato o succo di limone pochi minuti prima del pasto, per favorire il ripristino di un ambiente acido favorevole.
È consigliabile evitare di bere grandi quantità di acqua durante i pasti – perché può diluire l’HCl – e ridurre il consumo di bevande gassate o fredde, che rallentano lo svuotamento gastrico.
In alcuni casi, soprattutto quando i sintomi sono persistenti o le carenze nutrizionali già presenti, può essere necessario intervenire con integrazione mirata. Ma attenzione: non si tratta di soluzioni da autoprescriversi.
Tra gli strumenti più utilizzati troviamo la betaina HCl associata a pepsina, che può mimare l’acido gastrico mancante. Tuttavia, deve essere utilizzata solo sotto controllo professionale e mai in presenza di gastrite attiva o ulcere.
Gli amari digestivi a base di erbe come gentiana, tarassaco o carciofo possono essere un’alternativa più delicata per stimolare la secrezione naturale di HCl. Gli enzimi digestivi possono invece aiutare a compensare temporaneamente una digestione compromessa.
Lo zinco, in particolare nella forma carnosina, è un nutriente chiave: non solo favorisce la produzione di acido, ma contribuisce anche alla rigenerazione della mucosa gastrica.
Infine, vitamine del gruppo B e magnesio supportano l’attività enzimatica e la funzione nervosa, anch’esse fondamentali per il buon funzionamento dell’apparato digerente.
Le informazioni sulle diete sono fornite dalla dott.ssa Jessica Inserra. Prima di adottare qualsiasi dieta, consultare il proprio professionista di fiducia
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